Anche John Maynard Keynes, forse il più grande economista che si ricordi, doveva essersi conto che dare risposte ai comportamenti dei mercati finanziari era impresa ardua, per non dire a volte impossibile. Lo si può intuire da uno dei suoi aforismi più noti, quando affermava che “il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile”. In altre parole, mai cimentarsi in una “lotta” contro il mercato.
Guardando a quanto si sta verificando dall’altra parte dell’oceano, possiamo avere un’ulteriore riprova di quanto sia difficile, oltre che rischioso, interpretare i fenomeni che lo compongono e ne determinano l’andamento.
E’ noto che, in una situazione normale, asset class diverse hanno rendimenti diversi, in funzione del rischio sottostante, l’orizzonte temporale dell’investimento, la qualità degli emittenti, le prospettive dei mercati, la capacità di realizzare utili in grado di remunerare adeguatamente il “premio al rischio”, etc.
Mai, fino ad ora, si era verificato che asset class tra loro assolutamente “decorrelate” ed in antitesi arrivassero ad offrire rendimenti molto simili.
Succede che, invece, il rendimento dei treasury a 3 mesi (quindi sostanzialmente la gestione della liquidità), quello dei bond investment grade (quelli a più basso rischio) e quello dell’indice S&P 500 (e quindi il classico investimento azionario) siano incredibilmente appaiati al 5,3% su base annua. Va detto che da inizio anno ad oggi lo S&P 500 ha messo a segno un rialzo del 15% che ha permesso di recuperare parte delle perdite messe in conto l’anno precedente; ma appunto il forte rialzo, non accompagnato da un analogo andamento degli utili aziendali (anche se, a dire il vero, ad oggi si sono mantenuti su livelli sopra le attese), fa si che il rendimento dei titoli azionari che compongono l’indice, nei prossimi 12 mesi si attesti intorno al 5,3%. Si parla, ovviamente, di “media”, per cui può succedere che, se si prendono singoli, si possano ottenere risultati ben superiori. Come, in effetti, dovrebbe essere, avendo le azioni un rischio “intrinseco” (il premio al rischio, appunto) oltremodo superiore ai bond investment grade e, ancor di più, ai treasury.
Mercato, peraltro, che, oltre a “scontare” una diminuzione degli utili, prevede che, per il momento, i rendimenti obbligazionari rimangano ancora “in quota”, considerato che le banche centrali, al di là della pausa che la FED si è presa la settimana scorsa, non sembra abbiano nessuna intenzione di “mollare la presa”. Come appare ben evidente anche dalle parole di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE, che non più tardi di ieri ha ribadito che la Banca Centrale deve continuare ad aumentare i tassi, in considerazione che l’inflazione rimarrà oltre il 2% ancora per un bel po’. Dichiarando, altresì, che sarebbe più grave un errore “per difetto” che “per eccesso”: in altre parole, è preferibile affrontare anche una recessione che non, invece, ritrovarsi con un’inflazione che divora i redditi, generando una povertà ben superiore a quella che deriverebbe da un andamento negativo del PIL.
Dopo la festività di ieri, riapre oggi il mercato americano.
Questa mattina indici asiatici appesantiti, né sembra sortire effetti la decisione annunciata dalle principali banche cinesi di ridurre il tasso di riferimento (di 10 punti base) sui prestiti a 5 anni.
A Tokyo Nikkei in calo dello 0,25%.
Livello simile (– 0,27%) per Shanghai, mentre “accusa il colpo” Hong Kong, dove l’Hang Seng arretra dell’1,62%.
In controtendenza Sidney, in crescita dello 0,9%.
Futures per il momento negativi ovunque, con cali maggiori sulla sponda europea.
Petrolio sempre a prezzi da “saldo”, con il WTI a $ 70,7 (- 0,70).
Leggera ripresa per il gas naturale Usa, + 0,87%.
Oro a $ 1.950.
Le dichiarazioni di Schnabel di ieri hanno portato verso l’alto i rendimenti, con lo spread a 158,6 bp.
BTP a 4,11%.
Bund al 2,51%.
Treasury al 3,80%.
Stabile questa mattina l’€/$, a 1,0924.
“Strappo” del bitcoin, che questa mattina arriva a segnare $ 26.868.
Ps: tempi duri per le Compagnie Aeree. Almeno questo verrebbe da pensare guardando alla nostra (nostra….?) Compagnia di bandiera, ormai passata, di fatto, nelle mani di Lufthansa. Ma forse le cose non stanno proprio così. In India, neanche un paio di decenni fa, nasceva IndiGo: in pochissimo tempo è diventata la maggior Compagnia del Paese, con una quota di mercato di quasi il 60%, con circa 264 aeromobili attivi. Ieri Airbus ha ufficializzato un ordine, da parte della Compagnia indiana, di qualcosa come 500 vettori, che verranno consegnati tra il 2030 e il 2035 e che si aggiungono agli altri 830 già in ordine, portando il numero complessivo a 1.330 nuovi aerei. Aerei, non monopattini…